martedì 18 ottobre 2011

IL “GRANDE OCCHIO” SUL MEZZOGIORNO

Pochi di noi conoscono il “grande occhio” del Mezzogiorno, ossia la “SVIMEZ”. Di che cosa si tratta? La SVIMEZ – Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno – è un ente privato senza fini di lucro, istituito il 2 Dicembre del 1946. L’obiettivo principale è quello di studiare l’economia del Mezzogiorno, per proporre a istituzioni centrali e locali concreti programmi di azione a sostegno dello sviluppo delle Regioni Meridionali che prevedono l’applicazione delle logiche industriali a tutti i settori, servizi e turismo compresi.

Il problema dell’industrializzazione del Mezzogiorno è dunque posto dalla SVIMEZ al centro della politica economica nazionale, nella convinzione che non si possa prescindere da esso se si vuole ridurre progressivamente, e alla fine eliminare, il divario con il resto del paese. Tale impostazione è presente sin dalle origini dell'attività dell'associazione: proprio a sostegno di una politica di industrializzazione, nel 1946 furono chiamate a collaborare forze imprenditoriali, scientifiche e finanziarie dell'intero paese, al fine di condurre ricerche e di esprimere, associandosi in un ente, idee, iniziative e proposte in collaborazione con le autorità di Governo, pur salvaguardando la prioria autonomia.
Agganciandosi alla riflessione sistematica sulla questione meridionale che si era sviluppata all’interno dell’IRI a partire dal 1938, sotto l’impulso del presidente Alberto Beneduce e del direttore generale Donato Menichella, la SVIMEZ sviluppa un “nuovo meridionalismo”: propone una politica di sviluppo per il Mezzogiorno basata sull'intervento diretto dello Stato e finalizzata all'industrializzazione meridionale, con il chiaro intento di superare il divario Nord-Sud grazie ad un insieme coordinato di azioni pubbliche.
Di qui la proposta di un intervento straordinario che potesse creare le condizioni favorevoli all'investimento industriale, ancora latitante, nel Mezzogiorno: venivano introdotti un sistema decisionale innovativo e un coordinamento dell'intervento pubblico ben diversi da quelli in vigore nel resto del paese. La "straordinarietà" dell'intervento veniva suggerita non solo dall’urgenza delle opere necessarie al Mezzogiorno, ma anche dai limiti operativi delle amministrazioni "ordinarie" e dalla lentezza e complessità delle loro procedure.
Tra le politiche di intervento e le attività proposte dalla SVIMEZ si ritrova la pubblicazione annuale di un rapporto sullo stato dello sviluppo del Mezzogiorno, la redazione di riviste scientifiche, la realizzazione di ricerche sulle diverse realtà e sulle problematiche meridionali.
Il Rapporto sull’Economia del Mezzogiorno è l’opera principale della SVIMEZ e viene pubblicato con cadenza annuale dal 1974. Raccoglie i principali indicatori sull’andamento dell’economia meridionale in numerosi settori chiave: industria, edilizia, terziario, credito, finanza pubblica, infrastrutture e trasporti, politiche del lavoro, di coesione, industriali, demografia, mercato del lavoro e popolazione. Ogni anno il Rapporto dedica un’attenzione particolare ad argomenti specifici o “focus”: tra i più recenti troviamo il ruolo del Mezzogiorno nel Mediterraneo, il federalismo fiscale, la logistica. L’ultimo Rapporto è stato presentato martedì 27 settembre 2011 a Roma, in occasione del centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia.
In primo luogo, esso analizza l’andamento dell’economia, a seguito della crisi del 2009, mettendo a confronto la realtà mondiale, nazionale e del Mezzogiorno. Da quanto emerso, dopo la profonda recessione del 2008-2009, nel 2010 l’economia mondiale ha faticosamente avviato la propria ripresa, trainata da Stati Uniti, Giappone e dalle economie emergenti (Cina, India, Brasile e Russia). L’Italia si lascia alle spalle la fase più cupa della peggiore recessione vissuta dal periodo post bellico in poi ed è anche fra le più lente a recuperare: nel 2010 il Pil nazionale è aumentato dell’1,3%, meno della Francia (+1,5%) e molto meno della Germania(+3,5%).
Cosa succede nel Mezzogiorno? In base alle valutazioni SVIMEZ, nel 2010 il Pil è aumentato dello 0,2%, in decisa controtendenza rispetto al -4,5% del 2009, ma distante di un punto e mezzo percentuale dalla performance del Centro-Nord (+1,7%). A livello nazionale, nel 2010 a trainare il Paese è stato il Nord-Est (+2,1%), seguito dal Centro (+1,5%) e dal Nord-Ovest (+1,4%). Più in particolare, la forbice oscilla tra il boom del Veneto (+2,8%) e la flessione della Basilicata (-1,3%). Nel Mezzogiorno, la crescita più alta spetta all’Abruzzo (+2,3%). Presentano segno negativo Puglia (-0,2%), Molise e Campania (-0,6%).
Confrontando poi i vari settori dell’economia, cavallo trainante del Mezzogiorno è l’agricoltura specializzata; inoltre, nel 2010 il valore aggiunto fornito da agricoltura, silvicoltura e pesca ha ripreso a crescere a ritmi doppi rispetto al Centro-Nord (+1,4% contro +0,7%). Riguardo all’industria in senso stretto, a livello nazionale il valore aggiunto nel 2010 è stato del +4,8% (+2,3% al Sud, +5,3% al Centro-Nord), in decisa controtendenza rispetto al tonfo del 2009 (-15,6%). Ciò significa che il calo registrato nel 2008-2009 è stato compensato solo per un terzo del totale.
Sul fronte delle opere pubbliche, i bandi di gara nel 2010 sono scesi a livello nazionale di importi (-15%) e numero (-0,9%). Nel caso specifico del Sud calano gli importi soprattutto in Campania, Puglia e Calabria.
Analizzando il mercato del lavoro, Svimez rileva 2010 gli occupati in Italia sono stati 22 milioni 872mila unità, 153mila in meno rispetto al 2009, di cui 86.600 nel solo Mezzogiorno. Se si analizzano gli andamenti trimestrali dell’occupazione, emerge che la crisi è iniziata al Sud e lì sembra perdurare. In Campania lavora meno del 40% della popolazione in età da lavoro, in Calabria il 42,4%, in Sicilia il 42,6%. Crescono invece gli occupati stranieri: +183mila, di cui 137mila al Centro-Nord e 46mila nel Mezzogiorno, impiegati soprattutto nel settore agricolo (+16,8%). Il tasso di occupazione è globalmente fermo al 56,9% (64% al Centro-Nord e 43,9% al Sud).
In relazione alla tipologia dei contratti diminuisce il lavoro sicuro, cioè gli assunti a tempo determinato, mentre crescono gli atipici (+1,3%) e i lavoratori part-time (+3,9%, con 31mila nuovi posti di lavoro).
L’incremento di tali forme contrattuali, comunque, non è in grado di compensare, se non parzialmente,  il calo dei contratti standard. Il permanere della crisi comincia, dunque, ad esporre al rischio di perdere il lavoro anche il comparto dei lavoratori all’apparenza “più protetti”.
Di fronte ai fenomeni migratori, l’Italia continua a presentarsi come un Paese spaccato in due: da una parte il Centro-Nord, che attira e smista flussi al suo interno, e dall’altra il Sud, che espelle giovani e manodopera senza rimpiazzarla. Oltre a questa mobilità unidirezionale, tipicamente italiana è anche la presenza, accanto a trasferimenti permanenti, di spostamenti “temporanei” da parte dei cosiddetti “pendolari di lungo raggio”, che lavorano e vivono per buona parte della settimana al Centro-Nord, ma che mantengono casa e famiglia al Sud. La regione più attrattiva per il popolo del Mezzogiorno resta la Lombardia, che ha ospitato nel 2009 quasi un migrante su quattro.
Dal 2000 al 2009, 583mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno. Per quanto riguarda i flussi verso l’estero, dei 39mila italiani partiti nel 2009, 12mila sono partiti dal Mezzogiorno. In testa alle preferenze si attesta la Germania, che attrae oltre un terzo degli emigranti, seguono Svizzera e Regno Unito.
Un rapido sguardo al mondo della formazione rivela che, sebbene i tassi di passaggio dalla scuola dell’obbligo alla scuola secondaria superiore siano molto elevati, la situazione non è rassicurante: nel 2010 più del 10% della popolazione tra 15 e 64 anni possiede solo la licenza elementare o nessun titolo di studio; il 36,5% ha conseguito la licenza media e circa il 40% il diploma; le persone in possesso di titoli di studio superiori sono appena il 13% del totale. Il tasso di passaggio all’università al Sud si è assestato al 60,9% nel 2009-2010, in calo di un punto e mezzo percentuale rispetto al 2008-2009
I tassi di abbandono scolastico rimangono più alti al Sud: nel 2008, 14 studenti su 100 hanno lasciato dopo il primo anno di scuola superiore, contro il 10% del Centro-Nord. Influiscono su questo dato le condizioni di degrado sociale e familiare. L’Italia si distingue negativamente nel contesto europeo per la quota di early leavers from education and training (giovani di 18-24 anni che hanno abbandonato gli studi senza aver conseguito un titolo di scuola secondaria di primo grado), pari nel 2010 al 18,8%, vale a dire oltre quattro punti percentuali sopra la media UE..
Sempre drammaticamente bassi i tassi di occupazione giovanili (15-24 anni), fermi nel 2010 al Sud al 14,4% a fronte del 24,8% del Centro-Nord. La situazione più preoccupante riguarda le giovani donne, ferme nel 2010 al 23,3%, ben 25 punti in meno rispetto al Nord del Paese (56,5%).
Uno sguardo d’insieme ai dati sull’occupazione suggerisce che la «debolezza» del mercato del lavoro, legata in tutto il Paese alla «condizione giovanile», al Sud si protragga ben oltre l’età in cui ragionevolmente si può parlare di «giovani». Dal brain drain – la “fuga dei cervelli” che indica il drenaggio di capitale umano dalle aree deboli verso le aree a maggiore sviluppo – si è evidentemente passati al brain waste, lo “spreco di cervelli”: si tratta della sottoutilizzazione di dimensioni abnormi di capitale umano formato che non trova neppure una valvola di sfogo nelle migrazioni.
Un altro settore su cui la Svimez rivolge il suo sguardo attento è quello energetico, nella consapevolezza che l’energia, materia prima strategica per la competitività di un «sistema paese», rappresenta un best driver per lo sviluppo economico: le risorse energetiche rivestono un ruolo chiave per gli Stati che le posseggono e costituiscono un punto debole per quelli che devono acquistarla dall’esterno.
Sotto questo profilo, il nostro Paese si presenta come fortemente dipendente, ben più della media europea, in relazione all’importazione di combustibili fossili (soprattutto gas naturale e petrolio), da cui fa derivare la maggior parte della produzione di energia elettrica (rispettivamente 54% e 10% del totale). Oltre che per il significativo sbilanciamento a favore del gas, il mix energetico italiano si caratterizza per il ridotto ricorso al carbone (13% sul totale), per un sufficiente contributo delle fonti rinnovabili e per la completa assenza del nucleare. Negli ultimi anni il Governo ha dedicato crescente attenzione alle energie “verdi”, come dimostra il “Piano d’Azione Nazionale per le Energie Rinnovabili” del giugno 2010, che mira a concertare la politica energetica con le politiche industriali, ambientali, della ricerca e innovazione tecnologica, e a condividere tali obiettivi con le Regioni, attraverso i PEAR (Piani Energetici Ambientali Regionali), strumenti di programmazione intersettoriale.
Quasi tutto il Mezzogiorno produce più di quanto consuma: al primo posto di attestano Puglia e Calabria, che producono ben più del doppio di quanto consumano, seguite da Sicilia, Molise e Sardegna. Nel 2009 la produzione lorda di energia elettrica da fonti rinnovabili (idraulica, eolica, solare, geotermica, rifiuti, biomasse e biogas) è stata di oltre 69milaGWh, pari al 23,7% del totale di elettricità prodotta nel nostro Paese. Di questa quota, oltre il 77% proviene dal Centro-Nord. Guardando alla sola energia eolica, essa viene prodotta per il 98% nel Mezzogiorno (26% in Puglia, 22% in Sicilia, 18% in Campania). A livello di impianti, dei 74.282 presenti in Italia alla fine del 2009, ben 71.288 (il 96%) sono fotovoltaici. Tra le regioni meridionali, mantiene il primato la Puglia che detiene il 28% del totale meridionale, seguita da Sardegna (22%) e Sicilia (20%). Una strada da battere, sul fronte delle rinnovabili, è quella della geotermia, utilizzata attualmente in Italia solo in Toscana, che ospita 32 impianti. Ma le aree italiane con la maggiore ricchezza geotermica si trovano lungo il Tirreno meridionale, in particolare in Campania, Sicilia, in un’enorme area off shore che va dalle coste campane alle Isole Eolie e, in misura minore, in Sardegna e in Puglia. Il Mezzogiorno presenta, quindi, in questo settore un vantaggio rispetto al resto del Paese. E’ opportuno ricordare che l’energia geotermica presenta il più alto potenziale di sviluppo (a livello mondiale pari a circa tre volte più del solare e dieci volte più dell’eolico) e può offrire, diversamente dalle altre fonti rinnovabili, una produzione continua e costante, oltre ad una elevata versatilità di dimensione di impianto.
Il rapporto annuale stilato dalla Svimez consente di riflettere su quanto sia ancora ampio il divario economico tra Nord e Sud, ma mostra anche alcune strade percorribili per superare tale divario, ponendo l’accento sul ruolo fondamentale delle istituzioni nazionali, regionali e locali. Un percorso condiviso e meno squilibrato catalizzerebbe lo sviluppo dell’intera nazione, implementando condizioni di benessere generale per tutti gli italiani. Tutto questo viene ribadito nel messaggio, ancora attuale, del Presidente della Svimez Nino Novacca in occasione della celebrazione dei 60 anni dell’Associazione: “Il Mezzogiorno non chiede generici “interventi” e nemmeno generici “soldi”. Il Sud ha bisogno di un progetto, di una speranza di futuro, al di là delle contrapposizioni fuorvianti tra “questione meridionale” e “questione settentrionale”. Siamo orgogliosi per essere riusciti a far entrare nella prassi dello Stato la specialità e la straordinarietà degli interventi per il Sud, ma anche preoccupati, perché oggi manca un soggetto politico strategicamente responsabile del conseguimento della “coesione nazionale.

Adriana Ranieri

Nessun commento:

Posta un commento