Oggi, 15 gennaio ’09, mi son rimaste impresse due “res”. La prima è la frase, forse un po’ retorica, un po’ consueta, di una ragazza nel treno: “Io me ne voglio andare dal sud, o meglio dall’ Italia stessa.” La frase era inserita in un contesto lavorativo.
La seconda è la scena di tragica atrocità bellica a Gaza.
Molto probabilmente qualcuno si chiederà il perché di tale accostamento. Per qualcun altro non c’è nessun nesso. A me risulta evidentissimo.
È indubbio che l’Italia non stia passando un periodo florido per la sua economia. Ed è storica oramai la questione meridionale. È indiscusso inoltre che ognuno abbia i propri problemi da affrontare. Ma mettiamoci nei panni di tutti quei bambini palestinesi che vogliono fuggire dalla loro città, dalla loro terra. E chiediamoci : “ chi ha più necessità di fuggire? Noi italiani o loro? A loro è lecito farlo. Sono bambini. Vogliono preservare il dono della vita. Ma noi? Fortunatamente non siamo obiettivi di bombe.
Cosa avrebbe pensato quindi un palestinese di quella ragazza se fosse stato nel treno? Meditiamo un attimo. Anche di più possibilmente.
A noi non è sicuramente proibito di lasciare l’ Italia. Ma facendolo prima di tutto abbandoniamo i nostri affetti, la tradizione, gli usi e costumi, la nostra storia. Ma poi non è forse vero che l’ Italia è fatta dagli italiani? Ragionando per assurdo mi verrebbe da pensare: se tutti gli italiani si trasferissero nell’isola “Taldeitali”, ricca, florida, piena di aspettative, quest’ isola non sarebbe una new Italy?
Quindi molto probabilmente i nostri problemi scomparirebbero. Ci sarebbe quasi una rinascita. Ma non pensiate che prima o poi potrebbero ricomparire? Siamo sempre noi. Gli italiani. Il nostro essere non cambia come il fuso orario da un luogo all’ altro. Rimane sempre identico. Ma ammettendo che cambi. Prendiamo in esame la tesi pirandelliana del nostro io in continuo “fieri”(divenire). Ipotizziamo quindi che non siamo più l’ immagine che diamo ora all’ estero: quella di un popolo non precario, non più legato al fenomeno mafioso, e cosi via. Ipotizziamo di diventare una nazione tanto di cappello, che tutto sia diverso, non più come prima. Mi chiedo:” è tanto necessario trasferirsi, fuggire? È vero risolveremmo forse i problemi. Troveremmo chissà il lavoro che cercavamo da tempo. Ma se abbiamo le capacità per cambiare, secondo voi è fondamentalmente necessario essere in un altro luogo? Non crediate infatti che sarebbe bello unire i nostri cervelli e migliorare insieme le condizioni dell’ Italia e quindi le nostre, di tutti quanti? Molto probabilmente i risultati non si vedrebbero subito. Forse a distanza di anni. Ma immaginiate come sarebbe magnifico che tutti noi abbiamo partecipato, contribuito a dar vita ad una nuova era per l’ Italia. Siamo stati tra i fondatori dell’ Unione Europea. Stiamo dentro. Allora perché vediamo spesso, ancora lontani da noi, alcuni Paesi (come Germania, Francia, etc)? Non pensiate che sia arrivato il tempo di agire? Lamentarsi non serve più. Denigrare l’Italia neanche, perché denigreremmo noi stessi. Dobbiamo incominciare, invece, tutti a dire ciò che veramente non va. A dire la nostra. Sempre. A dare vita ad una cittadinanza attiva. A fare il Bene Comune. A denunciare gli interessi dei singoli che danneggiano tutti. Ad avere una coscienza critica. A prendere una posizione. A pensare oltre il nostro orticello. Senza però dare vita a maniere di protagonismo. Così molto probabilmente diventeremo “faber nostrae fortunae”. Rimbocchiamoci le maniche. Serve solo un po’ di “olio di gomito” e ben presto diventeremmo fieri della nostra nazione e quindi anche di noi stessi.
Trevisi Tommaso
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